C’è un medico a bordo?

Non sono il cosiddetto frequent flyer e stupisce quindi che mi sia già successo due volte di intervenire professionalmente per un’emergenza a bordo di un aereo. La prima volta si trattava di un bambino piccolo con dolore alle orecchie da scadente pressurizzazione: dopo che ho suggerito la somministrazione di paracetamolo e il bimbo si è addormentato, il comandante mi ha fatto omaggio di una bottiglia di spumante. Fare il «deux ex machina» è una pacchia per un dottore, ho pensato tra me e me, speriamo che ricapiti. E, ahimè, è ricapitato: su un volo yemenita dal Cairo a Sana’a è stato fatto un appello ai medici presenti, sempre per un lattante. Si trattava di una bimba che rientrava in patria dopo essere stata operata di derivazione di un idrocefalo grave. Attorno al piccolo essere dalla testa mostruosa, che dapprima ansimava e poi ha smesso di respirare, ci siamo ritrovati in quattro, un egiziano e tre italiani, uno dei quali era primario di rianimazione pediatrica. La persona giusta, eravamo a posto: peccato che sull’aereo non ci fosse materiale sanitario di nessun genere, se non un enorme ambu, inadatto al quel volto minuscolo. Mentre in due praticavamo il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale, il rianimatore riusciva a trovare una fiala di adrenalina (scaduta da poco) e un passeggero diabetico che aveva nascosto nel bagaglio a mano un paio di siringhe da insulina e ha tentato un’iniezione intracardiaca. Non c’è stato niente da fare: la bimba è morta e la madre l’ha tenuta in braccio fino a destinazione, nascosta nel sudario nero del suo burqa. Quello è stato un momento in cui avrei preferito non essere medico per non dovermi misurare con la mia impotenza: ci sono regole cui attenersi per agire al meglio?

Il numero di eventi medici che si verificano a bordo è difficile da stabilire, perché le compagnie non sono tenute a tenerne registrazione, ma si calcola che ve ne siano 1 ogni 10.000 o 40.000 passeggeri, la maggior parte dei quali di lieve entità. La disavventura del collega è quindi relativamente rara, ma tuttavia meritevole dell'attenzione di una recente revisione su Lancet.
Mentre in Canada, Stati uniti e Gran Bretagna per legge non si fa appello a interventi medici volontari, in Europa, Australia, medio e estremo Oriente, ciò è abituale: l'opera prestata volontariamente dal medico è protetta dalla cosiddetta Legge del buon samaritano, che esclude responsabilità legali per i suoi esiti. Secondo il US Aviation Medical Assistance Act del 1998, la responsabilità è limitata a patto che il medico agisca in buona fede, fornendo cure sensate e giustificate e senza richiedere compenso in denaro (l'offerta di cambio di classe in areo o di un liquore non sono considerati un compenso).
Le agenzie regolatorie dell'aviazione commerciale prevedono che l'aereo sia provvisto di un kit d'emergenza (vedi il box 1) e alcuni velivoli hanno a disposizione anche un defibrillatore; è sempre meglio chiedere se è possibile attivare un collegamento con una postazione sanitaria a terra.
Ogni atto medico deve essere preceduto dall'ottenimento del consenso del passeggero malato, se cosciente. Il medico può richiedere un cambio di destinazione, qualora il caso clinico lo imponga (arresto cardiaco, dolore stenocardico o addominale grave, dispnea, ictus). Per quanto riguarda tutte le decisioni (anche quelle mediche), l'ultima parola spetta al comandante del volo: al medico che si è offerto volontario non è richiesto di prendere in mano la situazione, ma di limitarsi a offrire il suo supporto all'equipaggio.
Infine, occorre astenersi dal dichiarare ufficialmente morto un passeggero, soprattutto nei viaggi internazionali, anche quando ulteriori manovre rianimatorie sono ritenute inutili e vengono pertanto sospese.

Bibliografia

Silverman D. Medical issues associated with commercial flights. The Lancet, Volume 373, Issue 9680, Pages 2067 - 2077, 13 June 2009

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