Massimo Tombesi
Medicina generale, Macerata
L'altro giorno ho deciso
di iniziare a leggere le circolari della ASL sulla peste in arrivo.
Avevo avuto la buona idea di cestinare tutte le precedenti,
immaginando che sarebbero state superate da successive a cadenza
settimanale, come infatti è stato, e così mi sono risparmiato un
pacco di fogli mica male. Nell'ultima c'era l'avviso di andare a
ritirare il kit del medico della peste al distretto (un pacco di
guanti, 4 camici a perdere (?) un pacco di mascherine, un paio di
occhiali di plastica e una mascherina a tenuta con valvola-filtro).
Speravo che il kit fosse confezionato in una scatola, perché il mio
interesse principale era storiografico, invece niente: un banale
sacchetto di plastica bianca, senza neppure una sigla sopra, tipo
Swine flu 2009, da
tenere per ricordo. Ma in questi tempi non ci sono più né stile né
eleganza.
La cosa più divertente è che, appena arrivato al
distretto, mi hanno intimato: "faccia vedere le mani". Il motivo
era di stimare la misura dei guanti (piccola, media o grande): mi
hanno spiegato che non si può semplicemente chiedere "che
misura?", perché i medici di famiglia la ignorano (?). Mi sono
ricordato che un paio di mesi fa una giornalista mi aveva chiesto se
noi siamo "autorizzati" a fare esplorazioni rettali. E' rimasta
esterrefatta quando le ho risposto: "anche vaginali". Ma, tra il
dire e il fare...in una mailing list locale si dibatteva sugli esami
strumentali che si potrebbero effettuare nello studio di medicina
generale e le posizioni (a parte i 2-3 soggetti bipolari che fanno
qualcosa) si sono divise tra quella di chi non ha tempo, perché c'è
troppa burocrazia (come a far credere che con qualche scartoffia in
meno si aprirebbero discussioni sulle marche dei cicloergometri) e
quella (rispettabile, ma un tantino sproporzionata) secondo cui un
apparecchio di misura crea un conflitto epistemologico in una
professione olistica. Fa eccezione quello per la misura della
pressione, ormai inglobata nella visione olistica di diritto e per la
forza bruta della domanda). Ora scopro che il collega medio non ha
probabilmente mai avuto una scatola di guanti monouso!
"La
medicina generale è pronta" ha dichiarato la FIMMG alla stampa a
proposito dell'epidemia in arrivo. Probabilmente era un modo per
cercare di fare capolino tra l'OMS, gli epidemiologi, i virologi, i
tromboni in tivù e le unità di crisi al ministero. Nessuno,
infatti, si era accorto che questa storia riguarda praticamente solo
i medici di famiglia (e i pronto soccorso), in quanto prima linea. I
fanti e la truppa vanno allo sbaraglio col kit di sopravvivenza da
campo (costo 4 euro), mentre i generali pianificano e pontificano e
la stampa è in spasmodica attesa del primo morto da piazzare nella
pancia della gente (tante volte qualcuno avesse voglia di ragionare
con un po' di buon senso). La medicina generale non è affatto pronta
e per non essere travolta sta adottando le più efficaci strategie di
cui è capace, prima fra tutte quella della massima entropia ("come
viene viene, alla giornata"), che offre la minore resistenza
(alias, la maggiore flessibilità) di fronte alle tempeste, mentre
qualunque organizzazione o tentativo di governo dell'assalto,
richiedono energie per essere mantenuti e vanno subito in pezzi.
Ci
vuole una bella attitudine al bluff per non dire che è semplicemente
impossibile essere pronti (quando non si sa neppure a che cosa); si
dovrà fronteggiare contemporaneamente la routine (80-100 rinnovi di
ricette al giorno, certificati di malattia con obbligo di visita
anche per un solo giorno) e le domiciliari in eccesso dato che
l'indicazione che i pazienti con febbre ricevono dai media è di non
muoversi da casa in attesa del curante (con camice e mascherina
monouso).
E il vaccino, ce lo facciamo?
A parte i dubbi su
qualità ed efficacia del vaccino, probabilmente non giustificati, se
ne facessi una questione personale, dovrei dire che io ho avuto solo
una volta, forse nel 1982, 37.2°C di febbre: colgo l'occasione per
ringraziare tutto il mio sistema immunitario, linfociti B, T,
macrofagi, neutrofili e non vorrei dimenticare nessuno (inclusi gli
eosinofili, che non so cosa facciano a parte provocarmi l'asma da
giugno a settembre, ma non importa, mi fido). Ora, con che faccia lo
sottopongo a un'esercitazione, a un falso allarme? E se mi si offende
per la sfiducia?
Alla fine ho, però, maturato la convinzione che è impossibile non vaccinarsi, non per paura dell'influenza, che proprio non ho, ma per una questione di semplice responsabilità professionale: basta che non diventi un'abitudine.
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