Quesito
Antonio B, di anni 26, affetto da asma e in terapia
con beta stimolanti al bisogno; non presenta fattori di rischio cardiovascolari
e non ha precedenti patologici di rilievo. Il mese scorso fa ha accusato un forte
dolore toracico che si accentuava con gli atti respiratori e che è durato per
ore, fino a che ha deciso di rivolgersi al pronto soccorso, dove hanno fatto un
ecg indicativo di pericardite, hanno trovato una lieve leucocitosi e una minima
falda di versamento all'ecocardiogramma a livello dell'apice del ventricolo
destro.
La terapia impostata durante il ricovero con
antinfiammatori ad alte dosi ha portato al progressivo miglioramento della
sintomatologia clinica e dell'obiettività: dopo tre giorni è stato effettuato
un nuovo esame ecocardiografico color doppler che ha rilevato normali per
dimensioni e spessori parietali le cavità cardiache, la morfologia valvolare,
il pattern transmitralico, il PAP, la cinesi parietale e la frazione d'eiezione
(66%); assenza di rigurgiti patologici, ma ispessimento e iperecogenicità
pericardica prevalentemente postero-inferiore con minimo versamento davanti al
ventricolo destro non emodinamicamente significativo. La diagnosi è stata di
pericardite acuta.
Il laboratorio dava VES a 31 mm, proteina C reattiva
a 5,34 mg/dL; anticorpi anti toxoplasma, anti citomegalovirus assenti e
anticorpi anti EBV IgG-VCA presenti e IgM assenti.
Il paziente è stato dimesso con prescrizione di
riposo assoluto per almeno 20 giorni terapia domiciliare con paracetamolo e
codeina e prednisone a scalare.
Ora Antonio riferisce un discreto benessere, se si
eccettua un disturbo in sede sternale quando si sdraia. L'ecg mostra ritmo
sinusale un po' tachicardico e normalizzazione del tratto ST e l'ecocardiogramma
ancora il minimo versamento, con normale funzionalità sistolica del ventricolo
sinistro.
Il mio giovane paziente è venuto in studio insieme ai
genitori per chiedermi quando sarebbe guarito definitivamente; devo dire che io
l'avrei già considerato clinicamente guarito e ho appreso con stupore che,
invece, era stato prolungata la terapia con prednisone e mantenuta l'astensione
dall'attività sportiva fino a nuovo ordine.
Risposta
Il medico di famiglia trova il suo ruolo specifico anche nella vicinanza al paziente e alla sua famiglia: un uomo giovane improvvisamente messo a riposo totale ha bisogno di un supporto positivo ed egli e i suoi familiari richiedono disponibilità a rendere più comprensibile la documentazione sanitaria per quanto riguarda la prognosi e il ritorno ad una vita normale.
La pericardite è un'infiammazione del pericardio, con aumento del liquido tra i suoi due strati: ciò provoca una compressione del cuore e limita la sua contrazione.
La patologia è più frequente tra uomini di età compresa tra i 20 e i 50 anni ed esordisce comunemente con dolore toracico, localizzato soprattutto dietro lo sterno e a volte nella parte sinistra del petto. Può essere irradiato al collo e alla spalla sinistra. Nonostante abbiano in comune localizzazione e irradiazione, il dolore da pericardite è differente dal dolore anginoso: quest'ultimo è oppressivo, mentre il dolore in partenza dal pericardio è acuto, puntorio e spesso aumenta col respiro profondo. Meno frequentemente la pericardite si presenta con un dolore non intenso: sono comuni la febbre e il malessere. Alcuni pazienti provano dolore alla deglutizione.
In molti casi non si riesce a stabilire la causa, che può essere un'infezione virale, batterica o fungina, un'ischemia miocardica, un tumore a partenza polmonare, dalla mammella o dal sangue, una terapia radiante, un trauma o un'operazione chirurgica. A volte, la pericardite accompagna l'artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico o l'insufficienza renale.
Sono utilizzati analgesici per attenuare il dolore; se la pericardite è dovuta a infezione batterica, sono prescritti antibiotici. Se l'eccesso di liquido compromette gravemente la cinesi del cuore, può essere drenato tramite ago e, in qualche caso, può essere necessario l'intervento chirurgico.
La pericardite acuta dura nella maggior parte dei casi da una a tre settimane e, il più delle volte, non lascia reliquati; tuttavia, il 2°% circa dei pazienti può andare incontro a recidiva entro qualche mese, o più raramente, anno.
Francesco Carelli
Università di Milano