Mio figlio è iscritto al secondo anno di una facoltà universitaria: ha studiato fisica, chimica, matematica, biochimica, statistica, biologia, inglese, citologia. Non è facile indovinare da questo elenco quale sia la sua precisa facoltà: scienze naturali, biologia, agraria, veterinaria? No, è uno studente di medicina. L'oggetto principale e specifico della sua facoltà, l'uomo, non si è ancora chiaramente imposto al suo orizzonte. Mancano le materie che più potrebbero essere cartina di tornasole: la psicologia, l'antropologia, la sociologia.
Con queste premesse, potrete comprendere il mio entusiasmo nel momento in cui a un convegno medico un professore si presenta dicendomi: “Insegno antropologia medica nei primi anni della facoltà di medicina di una piccola Università del centro Italia". In quel momento tutti i miei sentimenti negativi si sono concentrati sulla facoltà di mio figlio, dall'apertura mentale ben diversa da quella dell'ateneo dell'antropologo. Poi, l'entusiasmo un po' si è spento: il professore mi ha spiegato che il suo stipendio è pagato dalla facoltà di pedagogia; in quella di medicina egli, assieme a uno psicologo e ad altri professori più legati al versante umanistico, organizza con coraggio e sacrificio un "giardinetto di ore" non riconosciute economicamente. Insomma, mentre negli USA dell'individualismo e del tecnicismo sfrenati si organizzano ore e ore di humanities per i giovani studenti di medicina, nell'Italia ancora familistica e un po' tribale, ci si concede il lusso di far vivere il professore come un estraneo, come un vero antropologo su Marte... In egual modo, a non pochi cattedratici devono apparire marziani anche i colleghi della scuola di formazione in medicina generale di Trento, che da anni espongono i loro studenti proprio al melting pot disciplinare umanistico. Ma, forse, le Università di oggi, nell'apoteosi dell'interconnessioni multimediatiche, dovrebbero riscoprire il loro mandato non tanto con viaggi astronomici su nuovi pianeti, ma costringendosi a viaggi antropologici in qualche ambulatorio o scuola periferica di medicina generale, in ciò che è esterno al modello didattico dominante, ma profondamente intrecciato ai nuclei forti della medicina dell'uomo.
Al di là della volontà dei baroni, sta a noi, medici di famiglia di decennale cultura antropologica, fare in modo che i primi tentativi di relazione con l’Università non partano solo dalle alleanze con i clinici medici, ma dallo scambio fruttuoso di idee ed esperienze con antropologi, psicologi, sociologi, assistenti sociali, infermieri, vere linfe di un insegnamento che voglia essere generalista invece che meramente zoologico.